MOSTRA PERSONALE

... al vento_ Luigi Mainolfi

dal 16/02/2020 al 31/08/2020

Stefania Gori

Nel 2010 la casa editrice Einaudi invita Luigi Mainolfi ad illustrare l’Odissea per la collana Millenni. Due anni dopo, sempre per la stessa collana, gli viene commissionata l’Iliade. Per le illustrazioni elabora un gruppo di opere in terracotta dal titolo “ Le armi di Ettore”. Si tratta del ciclo di lavori presentati oggi alla Galleria Vannucci innanzitutto sono un opportunità per comprendere pienamente l’intreccio profondo nel lavoro di Mainolfi tra il mondo antico, arcaico e la nostra contemporaneità. La storia alla base del ciclo è nota. Ettore si impadronisce delle armi di Achille, armi splendenti che erano state donate all’eroe greco dal padre Peleo. Il fatto è che Ettore se ne impadronisce uccidendo non Achille ma il suo intimo amico Patroclo, che le aveva indossate per recarsi in battaglia e spaventare i troiani, rimbaldanziti da un’irosa auto-esclusione del temibile Pelide dalla guerra. Patroclo incontra Ettore, eroe “buono” che lo ammazza senza tanti discorsi e si prende armatura e tutto il resto. Poi accade una di quelle cose che rendono l’Iliade immortale. Si comincia a creare una catena di eventi che sembra parlare agli esseri umani di ogni tempo. Ettore vuole indossare l’armatura del grande nemico. Il macabro prestigio delle armi e della violenza prende possesso dello spirito di quest’uomo. E a quel punto vuole anche il cadavere del nemico. Qvueste armi, donate a suo tempo da un Dio a Peleo, sembrano divenire il centro di una follia violenta. Il corpo di Patroclo è però protetto da Aiace Telamonio, fortissimo guerriero greco, il quale uccide molti troiani per non cederlo (per il morto, tanti morirono – dice l’Iliade, con parole che dovrebbero essere ascoltate da ogni sostenitore della guerra). E mentre Ettore indossa queste armi, si ode nel racconto la voce di Zeus: l’essere supremo dell’Olimpo sa che quelle armi porteranno sventura la nobile troiano, e lo mormora triste fra sé. Zeus lo sa che la gloria delle armi è breve e dolorosa. Avrai iniziali successi, ti sentirai forte, sembra dirgli, ma la Morte già ti cammina accanto. Lo stesso Zeus lo aiuta ad adattarsi le armi addosso, quasi a voler significare che gli dei non fermano il corso della sorte. Ecco cosa sembra dirci di eterno l’Iliade: ci comunica a suo modo l’orrore per ciò che scaturisce dalle armi e dalla violenza, dalla disumanizzazione che queste operano sull’essere umano. Si sa come finisce la storia: Achille ammazza Ettore senza pietà; senza pietà ne strazia il corpo; senza pietà gli nega sepoltura. Solo dopo giorni di empietà, il dolore di un padre (il vecchio Priamo) lo riporta su questa terra, alla sua natura umana. Silvia Evangelisti Artista poliedrico, nel corso della sua vita creativa Luigi Mainolfi ha frequentato molteplici linguaggi, dalla scultura alla pittura, dal video all’installazione alla fotografia. Ha impiegato i diversi media concentrando la ricerca sull’espressività della materia, cercando il valore linguistico nella materia stessa. La sua arte, potente e raffinata, si è sviluppata in una città e in un tempo fortemente connotato, la Torino dell’Arte Povera. Mainolfi, pur immerso in quel clima e di esso partecipe, è sempre rimasto volutamente indipendente da correnti e movimenti, mantenendo un’autonomia di pensiero poetico che lo ha accompagnato dagli esordi sino ad ora. Una delle caratteristiche del lungo percorso artistico di Luigi Mainolfi è legata ad una raffinata poetica dei materiali che, accanto e oltre al fascino imprescindibile del fare, obbedisce ad una intenzionalità profonda da parte dell’artista, una intenzionalità volta ad affrontare attraverso la materia il senso profondo ed interno della forma, la sua essenza prima. C’è, nella sua opera, il richiamo ad una sorta di ritualità simbolica ancestrale che, pur reinserita nella viva contemporaneità, rimanda ad un tempo lontano, quasi mitico. Le grandi composizioni in terracotta – materiale elementare e antico, generato dall’unione degli elementi primari per eccellenza: terra più acqua più fuoco – le giare, le sfere, i soli, così come le forme di animali delineate da filo di ferro, fino agli stendardi di tela colorati che costituiscono la grande installazione di questa mostra, hanno a chè fare con l’idea archetipica del mito: archetipi (quei modelli originari che costituiscono quello che Jung ha chiamato l’ “inconscio collettivo”), le cui immagini trovano espressione nei miti e non possono essere raccontati che attraverso di essi, “perché il mito è il modo specifico di narrarsi dell’ «anima» che non può essere distorto dalla sovrapposizione di un linguaggio concettuale ad esso estraneo”1, come scrive Galimberti. Ma se il rapporto fra arte e mito rischia a volte di essere solo sguardo sul passato ancestrale, memoria estrema, nelle opere di Luigi Mianolfi acquista un’accezione mitopoietica: sulla individuazione dei paradigmi e delle direzioni di senso originarie del mito esso rinasce, si riscrive, si dà nuova forma, nuove epifanie simboliche.

Mito dunque non solamente come evocazione dell’origine, ma come percorso, come cifra dell’anima che continua a farsi e a manifestarsi, anche se sempre al limite del segreto, nella storia e nei giorni che viviamo, nel mistero e al tempo stesso nell’evidenza di nuovi segnali, di nuove forme da decifrare per svelarne l’essenza. Questo è tra l’altro uno dei tanti miti raffigurati sulle ceramiche greche. Oggetti di uso quotidiano, sacro o funebre, avevano anche la funzione di tramandare le storie e le leggende degli eroi, come facevano anche le raffigurazioni sugli edifici pubblici, la statuaria, la tragedia nei teatri. La civiltà greca è giunta a noi attraverso questi racconti e questi oggetti. Ma assieme a tutto ciò ci è giunto molto di più e Luigi Mainolfi lo coglie perfettamente nella sua opera . Nelle armi di Ettore si nascondono questioni di fondo sulla vita umana, sia individuale che sociale, e sulla realtà che ci circonda. A Mainolfi non interessa la figura di Ettore armato di tutto punto, come appare nelle ceramiche greche in tanti musei, preferisce lasciare la parola agli oggetti dell’eroe: l’elmo, gli schinieri, le punte di lance e frecce, la spada e lo scudo. Sono loro ad essere rivestiti di sacralità narrativa, ad evocare la storia della cultura greca e su di essi si sovrappone il nostro sentire contemporaneo. Difficile non vedere in queste opere sapienti, essenziali e tristi, un cupo messaggio per noi, cittadini d’un mondo in conflitto perenne. La terracotta è il materiale scelto per questi lavori “ricoperta da un pattern regolare di piccoli segni geometrici che evocano mondi, case finestre, occhi . Una sorta si scrittura cuneiforme” che richiama la storia del Mediterraneo e che ci ricorda quanto la follia delle armi e il desiderio di vincere ancora attanagliano il genere umano.

Silvia Evangelisti

Artista poliedrico, nel corso della sua vita creativa Luigi Mainolfi ha frequentato molteplici linguaggi, dalla scultura alla pittura, dal video all’installazione alla fotografia. Ha impiegato i diversi media concentrando la ricerca sull’espressività della materia, cercando il valore linguistico nella materia stessa. La sua arte, potente e raffinata, si è sviluppata in una città e in un tempo fortemente connotato, la Torino dell’Arte Povera. Mainolfi, pur immerso in quel clima e di esso partecipe, è sempre rimasto volutamente indipendente da correnti e movimenti, mantenendo un’autonomia di pensiero poetico che lo ha accompagnato dagli esordi sino ad ora. Una delle caratteristiche del lungo percorso artistico di Luigi Mainolfi è legata ad una raffinata poetica dei materiali che, accanto e oltre al fascino imprescindibile del fare, obbedisce ad una intenzionalità profonda da parte dell’artista, una intenzionalità volta ad affrontare attraverso la materia il senso profondo ed interno della forma, la sua essenza prima. C’è, nella sua opera, il richiamo ad una sorta di ritualità simbolica ancestrale che, pur reinserita nella viva contemporaneità, rimanda ad un tempo lontano, quasi mitico. Le grandi composizioni in terracotta – materiale elementare e antico, generato dall’unione degli elementi primari per eccellenza: terra più acqua più fuoco – le giare, le sfere, i soli, così come le forme di animali delineate da filo di ferro, fino agli stendardi di tela colorati che costituiscono la grande installazione di questa mostra, hanno a chè fare con l’idea archetipica del mito: archetipi (quei modelli originari che costituiscono quello che Jung ha chiamato l’ “inconscio collettivo”), le cui immagini trovano espressione nei miti e non possono essere raccontati che attraverso di essi, “perché il mito è il modo specifico di narrarsi dell’ «anima» che non può essere distorto dalla sovrapposizione di un linguaggio concettuale ad esso estraneo”1, come scrive Galimberti. Ma se il rapporto fra arte e mito rischia a volte di essere solo sguardo sul passato ancestrale, memoria estrema, nelle opere di Luigi Mianolfi acquista un’accezione mitopoietica: sulla individuazione dei paradigmi e delle direzioni di senso originarie del mito esso rinasce, si riscrive, si dà nuova forma, nuove epifanie simboliche. Mito dunque non solamente come evocazione dell’origine, ma come percorso, come cifra dell’anima che continua a farsi e a manifestarsi, anche se sempre al limite del segreto, nella storia e nei giorni che viviamo, nel mistero e al tempo stesso nell’evidenza

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