Premesso che un concetto può traslarsi in un oggetto, ma più difficilmente in un soggetto, l’opera d’arte tende a concettualizzare gli oggetti e a oggettualizzare i concetti. Proprio per questo motivo, l’esposizione ricorre ai linguaggi della scultura, della pittura e della fotografia intendendo dimostrare come, a prescindere da tutto, l’opera d’arte sia sempre un oggetto fisico.
Le opere di questa mostra occupano – di peso e con forza – lo spazio espositivo della galleria; è questo il caso dell’installazione di Paolo Grassino (Torino, 1967) che vorrebbe edificare sugli errori e gli orrori della storia, riducendo pur tuttavia l’identità degli individui a una lapidaria “rovina”. Nelle sculture di Aron Demetz (Selva di Val Gardena, 1972) vediamo come l’essenzialità entri nelle pieghe del corpo e del tempo, offrendoci delle forme che ibridano la geologia con la morfologia umana. Anche l’imponente impalcatura di Giovanni Termini (Assoro, 1972) chiama in causa la componente antropica e la fragilità dell’esistenza, fattori che vengono condensati in un enigma visivo che non intende svelarsi e di-spiegarsi completamente.